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Turismo male oscuro? Macché: è un paziente con diagnosi sbagliata (la cura a volte è peggio della malattia)

di Johnny Malerba, Presidente ANBBA

Cari amici, operatori, curiosi, residenti esasperati e politici dal divieto facile: prendiamola con un sorriso (che serve), ma parliamo chiaro (che serve ancora di più).

In queste settimane sento ripetere che “il turismo è in calo nelle città d’arte”, che “Firenze soffre”, che “Venezia tassa ma non risolve”, che “Roma è un pianeta a parte” e – sorpresa! – che Bolzano e l’Alto Adige vanno come un treno svizzero puntuale. E allora? Allora forse il turismo non è il male oscuro, ma una cartina di tornasole: dove governi bene, cresce in modo sano; dove improvvisi, ti presenta il conto.

Firenze & co.: quando si cura il raffreddore con l’ombrello rotto

Prendiamo Firenze: stop agli affitti brevi in centro UNESCO, chiavi nei keybox bandite dalle facciate, registro comunale, metri quadrati minimi… Tutto giusto? Tutto sbagliato? Dipende dal come, dal quando, dal perché e – soprattutto – dal “con chi”. Se le regole si fanno senza chi ogni giorno accoglie, pulisce, investe e paga (cioè noi), si ottiene l’effetto collaterale perfetto: meno offerta legale, prezzi non più bassi, soggiorni più brevi e una parte di domanda che scappa. Fine del film, titoli di coda con polemiche.

E Venezia? Biglietto d’accesso: “paghi e ti senti meno in colpa”. Ma se non affronti il cuore del problema – i flussi, i picchi, le navi, i bus – il ticket è un gettone del Luna Park: fa rumore, incassa qualcosa, ma non governa i flussi.

Il paradosso “Bolzano style”

Dall’altra parte c’è chi programma, misura, limita, racconta e investe. E guarda caso, raccoglie. Limiti di carico veri, marketing chirurgico, qualità dell’esperienza che non è uno slogan ma un capitolato operativo: formazione, standard, infrastrutture, trasporto pubblico, sentieri, musei, eventi spalmati nell’anno. Il risultato? Non “il turismo cattivo che caccia i residenti”, ma un equilibrio dinamico dove l’ospite spende, torna, rispetta… e soprattutto capisce le regole perché sono chiare, stabili, condivise.

Perché le città d’arte oggi arrancano (detto con ironia, ma mica troppo)

  1. Norme yo‑yo: ogni sei mesi cambiano regole, tasse, procedure. L’ospite non capisce e l’operatore nemmeno. Il turismo è un’industria, non una riffa.
  2. Prezzi alti… senza valore percepito: se pago una tassa di soggiorno o un ticket, fatemi vedere dove vanno quei soldi. Bagni pubblici decenti? Marciapiedi rifatti? Linee notturne? Altrimenti il turista si sente un bancomat su gambe.
  3. Offerta stanca: stessi tre musei, stesso bar “pittoresco” con cappuccino a prezzo d’arte contemporanea, stesse vie congestionate. Zero storytelling nuovo, pochi itinerari “veri” fuori dal quadrilatero turistico.
  4. Caldo, caldo, caldo: l’estate in città d’arte è una maratona nel deserto. Senza alberature, fontanelle, orari estesi serali dei musei, percorsi “freschi”, si soffre. E chi può… va in montagna.
  5. Dati? Presenti, ma in segreto: spesso i numeri restano nei cassetti. Se non rendi pubblici e leggibili flussi, pernottamenti, saturazioni quartiere per quartiere, come fai a calibrare politiche intelligenti?

La proposta ANBBA: 10 mosse gioiose ma serie per uscire dalla commedia degli equivoci

  1. Regole chiare per almeno 5 anni
    Affitti brevi, tasse di soggiorno, contributi di accesso: stabilità = investimenti = qualità.
  2. Tariffe dinamiche… pubbliche
    Se la città è satura, il ticket sale (e lo so prima di prenotare). Se è bassa stagione, incentivi, card, sconti.
  3. Dati aperti, dashboard in tempo reale
    Così si ragiona su fatti, non su percezioni. E i cittadini vedono come e perché si interviene.
  4. Itinerari alternativi seri
    Non brochure cosmetiche: percorsi curati, segnaletica, contenuti digitali, card multimodale trasporto+cultura.
  5. Give back visibile
    “Hai pagato 5 euro? Qui trovi il tracciamento di ogni centesimo: manutenzione, servizi, pulizia”. Fiducia batte diffidenza.
  6. Cruise e day‑trip management vero
    Slot, prenotazioni obbligatorie, contributi progressivi, redistribuzione sui territori vicini.
  7. Formazione (davvero) continua per gli host
    Sostenibilità, accoglienza, norme: chi opera meglio, alza l’asticella per tutti.
  8. Coalizioni locali
    Residenti, host, albergatori, negozianti, università: obiettivi condivisi e misurabili, con revisione annuale.
  9. Destagionalizzare sul serio
    Fiscalità agevolata e campagne mirate nei periodi “freddi”, non gli stessi spot a luglio quando non c’è più nemmeno posto al parcheggio.
  10. Copiare senza vergogna chi funziona
    L’Alto Adige ha dimostrato che programmare è meglio che improvvisare. Prendere quella logica, adattarla, misurarla, migliorarla.

Un pizzico di autoironia (necessario)

Noi operatori extralberghieri non siamo santi né demoni. Siamo la spina dorsale dell’accoglienza diffusa: flessibili, spesso i primi a innovare, a investire sul digitale, a distribuire reddito sui quartieri non centrali. Volete davvero ridurre overtourism, gentrificazione, disservizi? Usateci come alleati e sensori sul territorio, non come parafulmini normativi.

Conclusione: il turismo non guarisce da solo. Ma guarisce se lo curi bene.

Il turismo non è il male oscuro. Il male oscuro è l’incoerenza: chiedere qualità e poi mettere sabbia negli ingranaggi; parlare di sostenibilità e poi non finanziare i servizi; predicare “destagionalizzazione” e fare norme che funzionano solo da giugno a settembre.

ANBBA c’è, con proposte concrete e con il sorriso di chi sa che l’accoglienza è una cosa serissima, ma si fa meglio con un tono gioioso e colorito. Perché – ricordiamocelo – un turista felice è un residente meno arrabbiato e un territorio più ricco (di soldi, ma anche di senso).

Avanti, dunque: meno slogan, più governance. Meno forbici, più bisturi. E soprattutto: più ascolto e più dati. Il resto… verrà da sé.

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