
Tra ombrelloni chiusi e borghi pieni, la verità sta nel mezzo
Apri un giornale e pare che l’Italia turistica stia vivendo un’estate da romanzo drammatico: “Spiagge deserte!”, “Ombrelloni chiusi!”, “Città vuote!”. Poi apri Instagram e vedi gli amici che postano selfie disperati: a Firenze coda chilometrica anche per comprare un gelato, a Positano il tavolo per due te lo danno solo se prenoti insieme alla comunione di tuo figlio.
Allora? Crisi o non crisi?
I numeri dicono (quasi) tutto: ad aprile 2025 l’occupazione media delle strutture era al 47,8% — e per bassa stagione è già un buon dato. Ma l’estate è un puzzle:
- Sud e isole: picchi dell’82% nelle località da cartolina;
- Zone meno “instagrammabili” (Elba, Cilento, costa ligure): cali significativi;
- Nord e Centro: tengono bene, grazie al turismo culturale e a viaggiatori più “solventi”.
Nel frattempo, l’overtourism continua a premere sulle città d’arte. Firenze e Venezia non hanno problemi di presenze, ma di gestione. E a complicare le cose ci ha pensato il caldo torrido, che ha anticipato le partenze a primavera e spostato molte prenotazioni in autunno.
Poi c’è la voce “prezzi”: con il carovita, gli italiani scelgono Grecia o Albania, mentre gli stranieri ponderano con attenzione tappe e durata dei soggiorni.
Cresce invece il turismo lento, tra borghi, parchi e campagne: mete dove il massimo dell’assembramento è la fila alla fontanella.
Intanto però i media continuano a scattare foto di spiagge vuote alle 10 del mattino (quando tutti sono già in acqua) o piazze deserte all’ora della pennichella. È come dire che un ristorante è un flop perché alle 11 del mattino non c’è nessuno.
La verità è che, mentre alcune destinazioni faticano, altre segnano sold out grazie alla destagionalizzazione. Gli australiani — e non solo — preferiscono marzo-giugno e settembre-novembre, e così l’estate classica perde un po’ di smalto… ma il bilancio annuale si riequilibra.
Conclusione?
Non esiste un’unica Italia turistica: ci sono zone in crisi, zone affollatissime e altre che si stanno ripensando con successo.
Più che crisi, parliamo di transizione. Cambiano i flussi, le abitudini e le aspettative. E chi sa leggere il cambiamento, diversificare e offrire qualità, non solo si salva… ma brinda alla stagione.
Parafrasando Shakespeare:
Essere o non essere… in crisi? Dipende da dove sei, cosa offri e quanto sei pronto a cambiare.